1119.
Indivisibilità – Le parti comuni dell’edificio non sono
soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza
rendere piò incomodo l’uso della cosa a ciascun condominio.
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Recita brevemente
l'art. 1119 cod. civ.: "Indivisibilità - Le parti comuni dell'edificio
non sono soggette a divisione a meno che la divisione possa farsi
senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino".
La ragione di questa
norma sta nel fatto che ciascun compartecipe alla comunione ha diritto
di chiedere, ai sensi degli artt. 1111 e 713 cod. civ. (le norme sulla
comunione si applicano al condominio a sensi dell'art. 1139 cod. civ.),
lo scioglimento della comunione salvo che si tratti di cose che, se
divise, cesserebbero dall'uso cui sono destinate.
Nel caso di condominio di edifici è quindi
intervenuto il legislatore con la disposizione in questione che deve
essere considerata in rapporto all'art. 1117 cod. civ.
La proprietà comune a sensi di detto articolo
non è difatti sinonimo di comproprietà per quota di un certo bene,
ma attribuisce al bene che ne forma oggetto la qualifica di accessorio
rispetto ad un bene principale del quale deve seguire le sorti: la
divisibilità della cosa principale ne resta pertanto esclusa tra i
comproprietari ai quali spetta di usarne secondo le proprie necessità.
La formulazione della norma è chiara e indica
che l'indivisibilità è sancita non perché le parti comuni cesserebbero,
se divise, di servire all'uso cui sono naturalmente e originariamente
destinate, ma solo in quanto la divisione eventuale impedirebbe o
renderebbe più incomodo il godimento delle singole unità immobiliari
servite dalla parte che dovrebbe dividersi.
Nel condominio, è ovvio, l'uso delle cose
comuni è in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva
e la maggiore o minore godibilità di cui parla la norma in esame deve
però essere valutata oltre che con riferimento alla originaria consistenza
e destinazione delle cose comuni, considerate nella loro funzionalità
piuttosto che nella loro materialità, anche e proprio attraverso il
rapporto tra le utilità che i singoli condomini traggono da esse ai
fini del godimento delle parti di edificio di proprietà esclusiva
e l'utilità che, agli stessi fini, ne ricaverebbero dopo la divisione.
Occorre cioè che questa non incida sulla essenza e funzione delle
porzioni della cosa comune in modo che ciascuna di esse risulti idonea
a realizzare il servizio a vantaggio dei beni di proprietà esclusiva
cui era destinato, senza che il godimento ne risulti pregiudicato
o diminuito.
E' di tutta evidenza che la disciplina di
cui sopra è giustificata dalla natura stessa del condominio che altro
non è che una comunione particolare volta al servizio delle parti
di proprietà esclusiva.
Divisione solo all'unanimità
Nell'evoluzione giurisprudenziale è stato
tuttavia chiarito che l'indivisibilità delle parti comuni dell'edificio
non deve essere intesa in senso assoluto, ma soltanto nel senso che
per volontà di alcuno dei condomini in contrasto con gli altri si
alteri lo stato, e quindi il pacifico godimento delle parti dell'edificio
di uso comune, e non essendo ravvisabile alcun interesse pubblico,
né ragioni di ordine pubblico, per cui la norma possa ritenersi imperativa,
in ogni caso i condomini, tutti d'accordo tra di loro, possono giungere
alla divisione.
Da questo consegue che nel caso in cui il
condominio originario non venga sciolto e continui a permanere, lo
scioglimento parziale della comunione, relativamente a determinate
cose e parti comuni dell'edificio, è rimessa all'autonomia negoziale
dei condòmini i quali possono esercitarla anche mediante l'approvazione
di un nuovo regolamento o la modificazione di quello esistente, ma
in ogni caso all'unanimità non potendo mai avere le deliberazioni,
o gli atti, a maggioranza alcuna forza contrattuale.
La problematica naturalmente sorge nel momento
in cui non vi è unanimità e, alla luce di quanto sopra espresso, l'indivisibilità
subordina solo all'esigenza di non rendere più incomodo l'uso della
cosa comune a ciascun condomino e cioè all'esigenza che non si alteri
lo stato e quindi il pacifico godimento delle parti di uso comune.
E, al fine di valutare la comodità dell'uso, si devono anche tenere
in considerazione i costi degli adattamenti conseguenti alla divisione
e il deprezzamento delle parti che ne risulterebbero, nonché la sproporzione
delle spese con il valore delle cose di cui si chiede la divisione.
A quanto sopra deve aggiungersi che un eventuale
patto di indivisibilità contenuto nel regolamento di condominio di
origine contrattuale, secondo la Suprema Corte non incontra il limite
temporale previsto dall'art. 1111, secondo comma cod. civ., per i
patti di indivisione nella comunione ordinaria; un tale orientamento
non trova conforto alcuno nelle disposizioni di legge, posto che per
il disposto dell'art. 1119 cod. civ. il citato art. 1111 cod. civ.
è applicabile al condominio e quindi il fatto di indivisione non può
avere una efficacia superiore a dieci anni.
Le parti indivisibili
I risvolti pratici della normativa di cui
all'art. 1119 cod. civ. incontrano di fatto parecchie difficoltà e
la giurisprudenza è assai restia ad ammettere la divisibilità delle
cose comuni.
Si è affermata pertanto l'indivisibilità
per la scala che serve di accesso a diversi piani o frazioni di piano
di un edificio e per i pianerottoli poiché in relazione alla struttura
unitaria e al fine cui servono devono considerarsi beni comuni indivisibili.
Parimenti per le aree di accesso al fabbricato.
Anche il cortile può essere considerato indivisibile là dove, tramite
la divisione venisse a perdere la sua funzione originaria e non fosse
più idoneo a servire le parti di proprietà esclusiva o venissero limitate
nell'aria e nella luce.
Anche per i giardini e i lastrici solari
si è affermata l'indivisibilità salvo che la divisione possa farsi
senza renderne più incomodo l'uso come prevede la norma in esame.
In materia di impianti di riscaldamento
e di erogazione acqua calda la divisione non è mai stata ammessa.
Detti impianti infatti costituiscono un complesso unitario tale che
i vari elementi in cui si articolano, se separati, risultano non più
atti in sé e per sé ad assolvere la funzione che era propria dell'intero
complesso.
Quanto sopra è negli ultimi tempi venuto
un po' meno con l'entrata in vigore della legge 10/91 che tuttavia
non parla di divisione dell'impianto, ma di trasformazione in impianti
autonomi.
Per il resto rimane in ogni caso operante
la norma dell'art. 1112 cod. civ. sancita dal legislatore in eccezione
al principio della divisibilità avente portata generale, per la quale
l'indivisibilità di un bene comune deve ritenersi ricorrente ogni
qualvolta la cosa, per effetto della sua attribuzione in proprietà
singole ai condividenti, venga a cessare dalla sua specifica funzione
alla quale, naturalmente o per volontà delle parti, era destinata.
Avvocato Gabriele
Bruyère